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domenica 24 settembre 2023

Liberaldemocratici: Newsletter n. 28 del 23/9/2023

Addio Presidente

Ci piace ricordare il Presidente Napolitano citando il suo discorso al Parlamento europeo del 2014, in due passaggi in particolare:

 

“Il Presidente Draghi ha negato, in un Convegno del novembre scorso a Berlino, che si possa parlare di ‘un decennio perduto’. I paesi dell'area dell'Euro sono stati indotti - egli ha detto - ad ‘usare il secondo decennio di vita dell'Euro per disfare gli errori del primo’. In queste parole non c'è ombra di retorica, ma chiara consapevolezza autocritica. 

 

L'Euro ha rappresentato una innovazione di valore storico. Ma è rimasta per troppi anni monca, priva di complementi essenziali; il che può essere spiegato solo con anacronistiche chiusure e arroccamenti nazionali in campi che dopo l'introduzione dell'Euro non potevano rimanere presidiati dalla sovranità nazionale”.

 

“C'è vacua propaganda e scarsa credibilità nel discorso di quanti hanno assunto atteggiamenti liquidatori verso quel che abbiamo edificato nei decenni scorsi, dall'Europa dei 6 all'Europa dei 28. Come si può parlare di ‘fine del sogno europeo’, sostenendo magari che quella fine si potrebbe scongiurarla abbandonando l'Euro per salvare l'Unione?

 

La fattibilità e le conseguenze traumatiche di quell'abbandono vengono considerate da qualcuno con disarmante semplicismo. Né vedo quale dovrebbe essere il luogo e quali i garanti di un così improbabile scambio”.

 

Il nostro impegno per l’Europa

 

Capiamo tutti quelli che ci scrivono chiedendoci: e adesso? E li ingraziamo perché i messaggi, tanto quelli di incitamento, quanto quelli che esprimono riserve, ci aiutano nel nostro percorso. 

 

La situazione non è quella che volevamo e per cui ci siamo spesi, lo sapete benissimo.

 

Non abbiamo voluto schierarci finora e per il momento non lo faremo.

 

Abbiamo un manifesto per l’Europa, promuoveremo un grande comitato elettorale sotto l’insegna di Renew Europe e organizzeremo incontri e webinar sull’Europa che vogliamo.

 

Alla fine saremo costretti a schierarci a sostegno di una o di un’altra lista? Potremo dire no a tutti e disimpegnarci anche per rimarcare il nostro disappunto?

 

Amici, lo decideremo assieme.

 

Nel frattempo vi chiediamo di pazientare e di stare con noi. Aiutateci a diffondere il Manifesto e la nostra idea di Europa, seguendo e partecipando alle iniziative che avvieremo.

 

Siamo qui per una certa idea di Europa, di Occidente e di mondo.

 

Non per altro. Non per posti o seggi.

 

Sono cattolico, dunque universale

 

Sdeng. 

 

È il 2018, il direttore del Museo Egizio di Torino, il bravissimo Christian Greco, riceve la visita di una agguerrita Giorgia Meloni che gli contesta di discriminare gli italiani perché – a suo dire – il Museo praticherebbe degli sconti ai “musulmani”.  

Giorgia Meloni si presenta e si definisce “cristiana”. Il direttore risponde con uno spiazzante: “io sono cattolico, dunque universale”.

 

Sdeng.

 

Gli sconti non sono per “musulmani”, non sono su base etnica o religiosa, ma sono per chi parla arabo, prosegue il direttore, ricordando a Giorgia Meloni che la collezione non è italiana, ma egizia e che in Egitto vivono milioni di cristiani di lingua araba.

 

Altro sdeng.

 

Si trattava di un modo di avvicinare i residenti in Italia di lingua araba ad un patrimonio artistico che proviene da un paese di lingua araba e che l’Italia ha il privilegio di ospitare.

 

Da quanto Greco lo dirige il Museo Egizio fa numeri pazzeschi.

 

Nel 2022 sono state 890.500 le presenze, più del 2019, quando i visitatori furono 831mila.

 

L’obiettivo è di un milione di visitatori all’anno.

 

Noi Christian lo abbiamo conosciuto. La politica - e la polemica politica in particolare - non gli interessa. A lui interessa la cultura, interessa fare cultura. E ci riesce benissimo.   

 

Ma perché si è riaperto un caso su Greco questa settimana?

 

A riaprire il caso è stato l’assessore regionale al welfare di Fratelli d’Italia. 

 

In un’intervista al Corriere Maurizio Marrone, pur ammettendo “le doti manageriali non comuni” del direttore, ha sostenuto che “esistano figure potenzialmente più qualificate che sono state penalizzate non dico per la direzione, ma addirittura per un posto nel cda del museo”.

 

Il riferimento implicito era all’egittologo Francesco Tiradritti, la cui nomina nel Cda del Museo Egizio, sostenuta dalla giunta regionale di centrodestra, era stata respinta dagli altri soci (Mic, Città di Torino, Compagnia di San Paolo e Fondazione Crt) della Fondazione Museo delle antichità egizie.

 

Insomma, una questione di poltrone, con un centrodestra che la prende male se sente di trovare delle porte chiuse.

 

"Non replico nulla, non faccio politica, mi dedico all'antico e non alla contemporaneità – aveva commentato Greco –.  Sono un egittologo e lo rimarrò anche se dovessi andare a servire cappuccini in un bar di Porta Nuova. Ho già detto che mi piacerebbe che il direttore fosse invisibile, che parlasse la sua squadra. Oggi abbiamo una squadra di 70 persone, un museo che scava in Egitto, stiamo lavorando per il bicentenario. Il direttore può essere utile, ma non è indispensabile, l'istituzione va avanti. Qui ci sono oggetti che hanno una vita media di 3.500 anni. I direttori passano, il museo rimane qui da 200 anni”.

 

Ma l’intervento dell’assessore Marrone non è rimasto isolato. 

 

“Qualche anno fa Greco decise uno sconto solo per i cittadini musulmani e io chiesi ai cittadini di protestare inondando il centralino di telefonate – spiega il vicesegretario della Lega Andrea Crippa –  Lui mi denunciò, fui condannato in primo grado e assolto in secondo, vincendo la causa. È un direttore di sinistra che ha gestito il Museo Egizio di Torino in modo ideologico e razzista. Ha fatto sconti solo per i musulmani e mai per chi professa altre religioni. È un razzista contro italiani e cristiani. Si dimetta subito, farebbe più bella figura”. Altrimenti “va cacciato”.

 

Cacciare, epurare, sostituire.

 

Ci fermiamo qua.

 

Migranti

 

Se dichiari guerra alla Ue sui migranti per vincere le elezioni italiane e provare a vincere quelle europee devi poi prepararti a gestire la sconfitta e a spiegarlo ai tuoi elettori.

 

Questa guerra, per come dichiarata e impostata, il governo italiano di destra l’ha persa. 

 

Gli sbarchi, che dovevano essere fermati, sono aumentati in modo clamoroso. I morti in mare anche. I rimpatri restano fermi a meno del 4% dei clandestini. Gli accordi con il regime tunisino sono naufragati. 

 

La conferenza internazionale convocata dall’Italia senza Spagna e Francia non ha risolto nulla. Il piano Mattei rimane un bel mistero. La situazione dei centri d’accoglienza è fuori controllo.

 

Molti irregolari che sbarcano sono lasciati liberi di andare dove vogliono in violazione degli accordi di Dublino (che vanno sicuramente rivisti, ma che intanto sono in vigore), inclusi altri paesi europei che per questo sorvegliano le frontiere.

 

Spagna, Francia, Austria e Germania ci sono adesso ostili. Non siamo capaci di intercettare solidarietà e di promuovere politiche di redistribuzione di respiro europeo. 

 

Un fallimento su tutti i fronti, che tra apre crepe serie nella stessa maggioranza, con Salvini che cerca di tirarsene fuori facendo l’opposizione interna a Giorgia Meloni che, in quanto presidente del Consiglio, non può fare l’opposizione a se stessa.

 

Scusate ma su questo intendiamo essere durissimi e non fare sconti.

 

Avete gettato troppo fango sull’Ue per perorare una assurda e controproducente visione sovranista.

 

Ora pagatene tutte le conseguenze.

 

L’Inghilterra tornerà in Europa? 

 

Keir Starmer, il nuovo leader del Labour, oggi in testa nei sondaggi con un gradissimo divario rispetto ai conservatori di Sunak, rilancia la terza via di Tony Blair e promette di riavvicinare l’Inghilterra all’Europa, partendo da un nuovo accordo di Brexit, che possa prodromico ad un futuro nuovo riavvicinamento.

 

Sono lontani i tempi di Johnson e Farage, ma anche quelli di Corbyn.

 

Siamo davvero curiosi di vedere come si approccerà Elly Schlein al nuovo leader della sinistra inglese, considerando che Blair e la sua Terza via tra capitalismo e progressismo hanno caratterizzato la linea di Renzi quando si trovava alla guida del Pd.

 

Eh, eh.

 

Se la Polonia abbandona l’Ucraina 

 

Dopo l’embargo sul grano ucraino il premier polacco Morawiecki ha voluto dimostrare ancora una volta che la priorità del suo governo nazionalista non è la difesa dell’Ucraina (tanto meno quella dell’Occidente), bensì il mantenimento del potere da parte del PiS, il Partito Legge e Giustizia che governa a varsavia.

 

“Non trasferiremo più armi all’Ucraina, perché ora stiamo armando la Polonia” ha detto Morawircki.

 

Peccato che se cade l’Ucraina il rischio di un attacco di qualche genere anche alla Polonia amenti.

 

La verità è che Morawicki, pur dato per vincitore nei sondaggi (nei regimi illiberali di Ungheria e Polonia sarebbe una sorpresa se il partito al potere non fosse favorito, considerando l’oppressione più o meno palese delle voci contrarie e le interferenze nella gestione della giustizia), è anche dato in calo rispetto al 2019 e potrebbe non conseguire la maggioranza assoluta in parlamento. 

 

La Polonia è il paese in cui – ricordiamocelo – il divieto di aborto miete vittime e dove ti danno 8 mesi di carcere se procuri delle pillole per abortire. Un paese che aveva istituito zone “lgbt free”.   

 

Un paese che viola i principi dello stato di diritto e della separazione dei poteri.

 

Un paese per cui vale ancora la pena lottare, come insegna la campagna di Donald Tusk.

     

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU

 

L’art. 27 dello Statuto delle Nazioni Unite afferma che il componente del Consiglio di sicurezza che sia parte in causa in una controversia debba astenersi dal voto.

 

Perché, allora, la Russia pone il veto comunque sulle decisioni che potrebbero riguardarla, a cominciare da quelle di invio di una forza di peacekeeping?

 

Il problema è che tale astensione dal voto vale solo per le misure previste dal Capitolo VI (inchieste, contributi alla soluzione di controversie suscettibili di metter in pericolo la pace e la sicurezza internazionale, raccomandazioni alle parti di mezzi di risoluzione pacifica, indicazione di una soluzione nel merito). Rimangono invece escluse – e quindi soggette al potere di veto - le misure del Capitolo VII (sanzioni, misure dirette di intervento con o senza la forza, misure preventive).

 

Allo stato, dunque, se uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza è coinvolto in un conflitto armato non c'è nulla che il Consiglio di sicurezza possa fare per fermarlo, perché quello Stato eserciterà il proprio veto come la Russia sta facendo ora sull'Ucraina e come potrebbe fare la Cina su Taiwan.

 

Il 23 febbraio 2022, a quasi un anno dall'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte della Russia, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite chiese il ritiro immediato della Russia, in linea con la Carta delle Nazioni Unite.

 

Nella sua undicesima sessione speciale di emergenza, l'organismo mondiale ha poi adottato una nuova risoluzione che chiede la fine della guerra.

 

I risultati sono stati 141 Stati membri a favore e sette contrari: Bielorussia, Corea del Nord, Eritrea, Mali, Nicaragua, Russia e Siria. Tra i 32 astenuti figurano Cina, India e Pakistan.

 

Il libro della settimana (perché noi i libri li leggiamo, Ministro)

 

Il Donbas è Ucraina, di Kateryna Zarembo, editrice Linkiesta.

 

La vera storia delle regioni di Donetsk e di Luhansk e del mito colonialista creato dall’Unione Sovietica.

 

Se pensate che il Donbas sia una regione carbonifera abitata esclusivamente da minatori russi, che parlano solo russo e sono sempre pronti ad accogliere tra due ali di folla festante i “liberatori” russi mandati da Vladimir Putin, allora vuol dire che la menzognera propaganda sovietica e postsovietica è stata efficace. 

 

Kateryna Zarembo, con un viaggio appassionato nelle pieghe di quelle terre, dimostra invece che nel Donbas ucraino (che sarebbe più corretto indicare con l’espressione “la regione di Donetsk e quella di Luhansk”) c’è una stratificazione di popoli, di lingue e di religioni. Che quell’area geografica ha antichi legami con l’Europa occidentale. 

 

Che vi sono fiorite molte tradizioni culturali e politiche di matrice ucraina e filoeuropea, puntualmente represse dal rullo compressore russo. E che, comunque, essere di madrelingua russa non vuol dire parteggiare per forza per l’espansionismo del Cremlino invece che per la democrazia e la libertà.

 

Kateryna Zarembo è un’analista politica e docente universitaria ucraina che si occupa di politica estera, di politica di sicurezza e di studi sulla società civile del suo Paese. Da maggio 2022 è ricercatrice presso la Technical University di Darmstadt in Germania. Insegna alla Kyjiv-Mohyla Academy ed è membro associato del New Europe Center della capitale ucraina.




 

 

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