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sabato 19 agosto 2023

Liberaldemocratici Europei: Newsletter n. 23 - 19/08/2023

 I liberali alle prossime elezioni europee

Matteo Salvini ha commentato l’elezione, in Spagna, di una presidente della Camera socialista, grazie a un compromesso dell’ultimo minuto con i catalani di Junts, con queste parole: «Ecco cosa succede quando nel centrodestra si mettono veti e ci si divide, vince la sinistra nonostante abbia meno voti».

Come sapete, noi siamo nati per essere alternativi sia alla destra che alla sinistra.

E per essere da loro equidistanti. Siamo inoltre nati con lo scopo (che potremmo definire caratteristico di un movimento che si affermi liberale) di isolare gli estremi: sia a destra che a sinistra.

In Europa ciò che sta a destra dei Popolari ci pare “estremo” per la diversa idea di Unione: come abbiamo visto la settimana scorsa, per i conservatori di ECR - guidati in Europa da Giorgia Meloni - l’Unione dovrebbe raggiungere il suo livello massimo di integrazione diventando una confederazione (l’Unione attuale ha “esagerato” ed è troppo “ambiziosa”, sostiene ECR).

Nel parlare di confederazione ECR (un po’ impropriamente) intende qualcosa di meno di ciò che è l’Unione oggi in termini di integrazione: l’obiettivo è riprendersi sovranità su tutti i fronti e abrogare le istituzioni comuni sovranazionali come la Commissione, sempre mal sopportate dai conservatori.

Per noi, invece, l’obiettivo rimane quello di una federazione (gli Stati Uniti d’Europa). Sicuramente, non meno integrazione di quella raggiunta finora: Europa sì, anche così. Cioè, non di meno.

ID, che sta ancora più a destra (il movimento di Salvini, Le Pen e Adf fra gli altri), afferma che “lo Stato-nazione è il livello più alto possibile in cui la democrazia può funzionare pienamente” e si oppone “a qualsiasi nuovo trasferimento di potere dalle nazioni all'UE”.

Al contrario, i Popolari affermano che “L’Europa viene oggi sfidata anche al suo interno dagli antieuropeisti, che non credono più che il progetto dell'UE sia la soluzione migliore per salvaguardare la pace e la democrazia nel continente, come fatto fin dalla seconda guerra mondiale. In un mondo in cui nessuno Stato membro da solo è abbastanza forte da sostenere le decisioni che influenzeranno il suo futuro, l'Europa deve riaffermare se stessa e difendere i suoi valori. Per fare questo, dobbiamo tenere unita l'Unione europea. Dobbiamo lavorare per un'Europa migliore, più ambiziosa”.

I Socialisti affermano che “La guerra di aggressione russa contro l'Ucraina, come punto di svolta storico, dimostra che l'integrazione della difesa tra i paesi dell'Unione Europea è indispensabile per la sicurezza europea. (…) Una maggiore coerenza tra le politiche esterne e interne dell'Unione è fondamentale per raggiungere l'autonomia strategica aperta dell'UE. Al fine di rafforzare il suo status globale, l'Unione deve rafforzare la sua integrazione politica”.

Per questo, allo stato attuale, una “maggioranza Ursula” (cioè una maggioranza parlamentare che si basi su un compromesso fra socialisti, liberali e popolari, capace di isolare le forze che si situano ai rispettivi estremi) appare ancora la soluzione più ragionevole per il futuro dell’Europa (nella foto sopra l’attuale composizione del Parlamento Ue).

Per avere voce in capitolo, però, ed evitare che per formare una maggioranza si debba guardare anche a forze che intendono retrocedere nel processo di integrazione europea, è necessario che i liberali che si iscrivono in Europa nel gruppo di Renew Europe eleggano il maggior numero di deputati possibile. A partire dall’Italia.

 

 Il crollo del rublo

 

Malgrado la propaganda del regime e dei moltissimi filorussi in Italia e in Europa, le sanzioni mordono.

Come avete visto, nell’ultimo anno il rublo ha continuato a perdere valore sul dollaro, raggiungendo il minimo da 16 mesi poco prima di ferragosto, sotto la soglia di 100 (cioè, con un dollaro si potevano comprare più di 100 rubli).

Ciò ha costretto la Banca centrale di Russia ad aumentare il tasso di interesse di riferimento al 12% dall'8,5% precedente.

I prezzi in Russia sono aumentati anche per l'economia di guerra imposta dal Cremlino. Il governo ha raddoppiato la propria spesa militare, le fabbriche producono a pieno regime armamenti e mezzi utili allo sforzo bellico.

«Questa decisione è stata presa per limitare i rischi per la stabilità dei prezzi», ha dichiarato la Banca centrale presieduta dalla governatrice Elvira Nabiullina. Pesano il blocco delle transazioni con i Paesi occidentali e la scarsa appetibilità del rublo presso i paesi - Cina e altri dell’Asia - con cui la Russia continua ad avere scambi commerciali in particolare di tecnologia per sostenere lo sforzo bellico contro l’Ucraina.

Una valuta più debole rende più costose le importazioni di prodotti dall'estero, di cui la Russia è dipendente per sostituire il commercio con l'Occidente bloccato dalle sanzioni. Per questo l'inflazione ha nel frattempo rialzato la testa, tornando ad accelerare dopo alcuni mesi di rallentamento (oggi si attesta attorno al 7,5%)

«L’aumento della domanda interna supera la capacità di espandere la produzione, anche a causa della limitata disponibilità di risorse di lavoro. Ciò rafforza la persistente pressione inflazionistica nell’economia. Le aspettative di inflazione sono aumentate. L’andamento della domanda interna e il deprezzamento del rublo dall’inizio del 2023 amplificano notevolmente i rischi pro-inflazionistici», hanno spiegato dalla banca centrale.

L’aumento del costo della valuta ne limita la massa in circolazione e ne consente per questo un riapprezzamento (tale effetto costituisce l’altra faccia della medaglia rispetto alla riduzione dell’inflazione).

Nell’immediato, però, il livello di vita del russo medio ne risente ulteriormente.

La lettera della BCE sulla tassa italiana sugli extraprofitti

Il Ministero dell’Economia e delle finanze ha richiesto, subito dopo l’approvazione della norma sugli “extraprofitti” (usiamo le virgolette, sempre, perché, come visto sabato scorso, non c’è nulla di naturale in questa espressione), un parere di competenza alla BCE.

La presidente della Banca centrale europea «ha ricevuto la richiesta ufficiale di consultazione da parte del Ministro dell’Economia e delle Finanze italiano», ha riferito l’agenzia LaPresse.

Dunque ci sarà una presa di posizione formale.

In settimana il Corriere della Sera ha scritto che si tratterà di una netta censura.

Sia sul merito del provvedimento, che la Bce ritiene potenzialmente dannoso per l’economia, sia sul metodo, visto che il Governo non ha comunicato la decisione né alla Banca d’Italia, né a Francoforte, laddove il Trattato dell’Unione Europea stabilisce la consultazione della Bce da parte delle autorità nazionali su ogni progetto di legge di sua competenza.

Pare che l’aspetto più criticato sia comunque la destinazione data alla tassa: un conto sarebbe se andasse a finanziare gli strumenti di garanzia sui depositi o i fondi per le risoluzioni bancarie. Destinare il ricavato ad obiettivi generali di bilancio - come ha fatto il nostro Governo - sarebbe invece fortemente criticabile per la Bce (per noi una rapina).

Salario minimo

Sapete che non ci piace parlare di salario “minimo” e che preferiremmo parlare di produttività aziendale.

Dove la produttività rimane bassa e il tessuto imprenditoriale molto frammentato e fatto per lo più di piccole e piccolissime aziende, infatti, fissare livelli salariali minimi può portare a paradossi come la trasformazione del rapporto di lavoro in finto lavoro autonomo o il pagamento di salari non dichiarati.

Abbiamo anche visto che la battaglia dell’opposizione è più che altro una bandiera, perché il numero di lavoratori non coperti da contratti collettivi che assicurino trattamenti minimi adeguati è esiguo.

Un recente focus realizzato da Adapt, firmato da Michele Tiraboschi e Francesco Lombardo, ha preso in esame undici contratti collettivi nazionali tra i più applicati, tanto nei settori forti (per il rischio di sganciamento dal sistema contrattuale) che nei settori deboli (per valutare l’incidenza o meno della misura prospettata nel dibattito politico) estrapolando poi il trattamento economico complessivo, che la proposta di legge dell’opposizione definisce come sommatoria di «trattamento minimo tabellare, degli scatti di anzianità, delle mensilità aggiuntive e delle indennità contrattuali fisse e continuative dovute in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa».

Il risultato è che nessuno di questi undici Ccnl maggiormente applicati prevede un trattamento economico complessivo inferiore alla tariffa dei 9 euro lordi omnicomprensivi. La media di questi undici Ccnl è 10,29 euro, che parte dai 9,25 euro di una guardia giurata inquadrata al quarto livello del Ccnl vigilanza privata fino ad arrivare alla cifra di 11,34 euro di un operatore di laboratorio di livello E2 del Ccnl chimica-farmaceutica.

La conclusione degli esperti - dati alla mano - è la seguente: il lavoro povero

esiste, eccome, ma è originato, anche e forse soprattutto, dalla diffusione del lavoro irregolare che lascia i lavoratori privi di tutele (compresa quella dei salari minimi), dall’elevato numero di contratti c.d. pirata, dalla discontinuità e frammentarietà dei rapporti di lavoro, dal basso numero di ore lavorate, dall’uso distorto di istituti giuridici, come i tirocini extracurriculari.

Si aggiunga che i CCNL siglati da CGIL-CISL-UIL coprono ben il 97% dei lavoratori.

Il fenomeno dei salari bassi riguarda quindi un numero di lavoratori nel complesso esiguo.

Lo studio del CNEL (hanno resuscitato il CNEL!) di cui avete letto sui giornali questa settimana afferma che sono circa 60 mila i lavoratori italiani che sarebbero interessati dalla proposta delle opposizioni sul salario minimo.

Per il CNEL l’emergenza riguarderebbe chi è impiegato in settori come le pulizie, la vigilanza (che però nel focus Adapt viene considerata adeguatamente garantita) e l’aiuto agli anziani.

Poi ci sono i settori di agricoltura e collaboratrici familiari, per i quali però il Governo si guarda bene dall’intervenire, perché «se intervenissimo per legge in questi settori scoppierebbe la rivoluzione», ha scritto La Stampa citando una fonte di maggioranza.

Accise

Da quando il Governo Meloni ha scelto di non rinnovare il taglio delle accise sui carburanti a partire dal 1° gennaio 2023, il prezzo di benzina, diesel, Gpl e metano ha iniziato una rapida escalation, culminata puntualmente quest’estate con picchi record e con una media prezzi pari soltanto a quella vista nei primi mesi del conflitto tra Russia e Ucraina.

Eppure, l’esecutivo non sembra intenzionato ad intervenire. Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha recentemente dichiarato che “Il governo Meloni preferisce utilizzare le risorse per il taglio del cuneo fiscale, per i salari più bassi e le famiglie più numerose”, anche in vista di una legge di bilancio che si preannuncia complicata.

Nel programma elettorale della Lega è scritto chiaramente, tra le proposte, di voler “proseguire con misure transitorie di riduzione delle accise di gasolio, benzina e GPL”.

Una riduzione che per il carroccio “ha importanza fondamentale per garantire livelli minimi di competitività dell’autotrasporto” e per “ridurre il carovita”. Non solo: l’8 febbraio 2023 Salvini aveva dichiarato che “Se il costo del carburante arriva sopra i 2 euro, il Governo interverrà, come è stato già fatto l’anno scorso. Adesso però siamo a 1,8 euro, e conto che il 2 davanti non lo si vedrà più”. Pronostico sbagliato.

Quanto a Giorgia Meloni, qui il video di quando pretendeva che venissero abolite. Facile contestare quando si sta all’opposizione, eh?

Tajani in difficoltà

Tajani in difficoltà in settimana: si è sentito emarginato da Meloni (e Salvini se la ride) per non essere stato consultato rispetto alla norma sugli “extraprofitti” delle banche, norma di cui Meloni si è assunta la paternità esclusiva.

Ne approfitta Renzi che, come ha riferito Il Corriere rilanciato anche da Il Riformista, starebbe lanciando quella che il quotidiano chiama “operazione Centro”.

Il leader di Italia Viva starebbe infatti lavorando per raccogliere le forze riformiste meno vicine alla destra di Governo e alla sinistra, in gruppi parlamentari con il nome, per l'appunto, “Il Centro”.

L'operazione sembra lasciare indifferente Carlo Calenda.

Con Renzi "abbiamo già divorziato" e se i gruppi parlamentari sono ancora uniti, "non posso farci niente. C’è il mio cognome nel simbolo, la decisione la deve prendere Renzi. Comunque siamo due partiti diversi e andremo separati alle Europee. Al cento per cento", ha detto il leader di Azione ieri a Repubblica.

"Con Berlusconi era Forza Italia, con Tajani è 'Forse Italia', indeciso a tutto" sono le frasi di Renzi usate come titolo ieri da Il Riformista.

Dal retroscena del Corriere emerge che Renzi sarebbe certo che sia solo questione di tempo: l'ondata emotiva che tiene gli elettori di FI ancora attaccati al partito fondato da Silvio Berlusconi sarebbe destinata a finire presto, e l’ex premier punterebbe a intercettare questo elettorato. Al netto di sorprese come una possibile discesa in campo di Pier Silvio Berlusconi.

 Intelligence Usa: la controffensiva di Kiev in difficoltà

L’intelligence statunitense ritiene che la controffensiva estiva ucraina non riuscirà a raggiungere la città chiave sudorientale di Melitopol.

Lo hanno rivelato fonti informate al Washington Post, sottolineando che, se questa previsione sarà corretta, questo significa che Kiev non raggiungerà il suo principale obiettivo di tagliare alla Russia il collegamento via terra con la Crimea.

La valutazione sarebbe basata sulla capacità che la Russia sta mostrando nel difendere il territorio occupato, attraverso campi minati e trincee, e potrebbe creare tensioni tra Kiev e le capitali occidentali sulle ragioni per cui la controffensiva, per la quale sono state investite decine di miliardi di dollari di armi occidentali, non sia riuscita a centrare i suoi obiettivi.

L’avanzata verso Melitopol pare estremamente ardua e, anche se gli ucraini potranno riconquistare località più vicine come Tokmak, sarà difficile, spiega Rob Lee, analista militare del Foreign Policy Research Institute, riprendere Melitopol.

In realtà, già così dobbiamo ritenere quella dell’Ucraina una vittoria: la capacità dimostrata di resistere nel tempo alla brutale invasione russa e di contrattaccare come fatto finora, nonostante le difficoltà logistiche, di risorse e di approvvigionamento, deve farci applaudire ogni giorno il fiero popolo ucraino.

Le cancellerie occidentali, che hanno delegato alle forze armate ucraine la difesa dell’intera Europa, non possono certo avanzare pretese ipocrite adesso.   

Oggi più che mai è il momento di restare uniti al fianco dell’Ucraina.

PIL

Dopo il rialzo dello 0,6% nel primo trimestre, l'Italia non conferma il trend di crescita del suo prodotto interno lordo.

Questo è quello che emerge dalla più recente stima flash di Eurostat.

Nel secondo trimestre del 2023 la crescita italiana non solo si è azzerata, ma segna addirittura segno meno: -0,3%. Peggio del dato dell’eurozona, che cresce dello 0,3%, e peggio delle altre grandi economie europee come Francia, Germania e Spagna.

Tra i singoli Paesi di cui sono disponibili i dati, rialzi maggiori del Pil nel trimestre si registrano in Irlanda (+3,3), Lituania (+2,8%) e Slovenia (+1,4%).

Se pensiamo al contributo che ha avuto sul PIL il sistema dei bonus edilizi (che non è stato quello sbandierato da Conte ma è stato comunque rilevante), il dato recente ci riporta tristemente alla realtà di un Paese che ha un bisogno estremo di riforme e di aprire il mercato.

L’insostenibile situazione delle carceri italiane

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo sulla situazione delle carceri italiane dal nostro iscritto e referente per la Regione Calabria Nicola Galati:

Ogni anno, particolarmente in estate, si parla brevemente della tragedia dei suicidi in carcere, ma dopo qualche generico annuncio media e politica tornano a dimenticarsene.

Disinteresse e apatia sulle condizioni dei detenuti sono diffuse e comuni, la società usa il carcere come luogo dove isolare e dimenticare i soggetti deboli e i loro problemi.

Certo, dietro ogni suicidio in carcere vi è una storia personale, spesso inesplicabile, ma lo Stato deve garantire l’incolumità delle persone che ha in custodia.

Chi conosce le condizioni delle carceri italiane sa che l’estate è il periodo più difficile, tra caldo insopportabile, solitudine e carenze strutturali, che rendono la detenzione una tortura.

Il costante sovraffollamento acuisce i problemi, unito alla carenza di personale e all’impossibilità di garantire ad ogni ristretto il giusto trattamento.

Molti ristretti, in particolare, sono affetti da problemi psicologici, ma in molti istituti vi è una grave carenza di psichiatri e psicologi.

La soluzione, però, non può essere la costruzione di nuove carceri o l’utilizzo delle caserme dismesse, come sembra riproporre l’attuale Governo.

Innanzitutto per una ragione di tempistica, in quanto i tempi dei lavori non permetterebbero di affrontare l’emergenza. Inoltre, sarebbe comunque un rimedio temporaneo, in attesa che il sovraffollamento colpisca anche le nuove strutture.

L’utilizzo delle caserme dismesse ridurrebbe di poco i tempi rispetto alla costruzione di nuove strutture, poiché si dovrebbero pur sempre adeguare le caserme ai canoni previsti dalle norme sull’ordinamento penitenziario.

Nell’immediato si potrebbe pensare alla liberazione anticipata speciale che permetterebbe di ridurre il numero dei ristretti.

Nel lungo termine solo l’amnistia e l’indulto, uniti ad una seria depenalizzazione e all’implementazione delle misure alternative, che riduca il carcere ad extrema ratio, possono garantire un ritorno ad una condizione umana e civile nelle carceri italiane.

Purtroppo, però, ci rendiamo conto di quanto sia difficile sperare nella attuazione di tale programma considerando l’attuale panorama politico, dominato da desolanti parole d’ordine come “buttare la chiave” o “certezza della pena”.

L’abuso e il travisamento di quest’ultima espressione meritano un breve approfondimento. Oggi con essa si intende la certezza della pena carceraria, senza possibilità di modifiche o riduzioni nel corso del tempo.

Secondo i principi del diritto penale classico, invece, la pena è certa quando la fattispecie di reato e la sua cornice edittale sono predeterminate dalla legge, così da evitare che siano il frutto, ex post, dell’arbitrio del legislatore o del giudice (è un corollario del principio di legalità).

In conformità al dettato dell’art. 27 della Costituzione, che ne sancisce la personalizzazione e la finalità rieducativa, la pena non può che essere flessibile.

Molti dei suicidi che si sono verificati negli ultimi anni riguardano ristretti a cui restava poco tempo da trascorrere ancora in carcere. Può sembrare anomalo, ma è sintomatico del diffuso timore su cosa fare una volta fuori.

Per questo la pena deve essere concretamente volta a reinserire il detenuto nella società, senza abbandonarlo alla disperazione, alla solitudine, alla recidiva o alla più tragica delle scelte.

Cina

Si moltiplicano le preoccupazioni per la salute dell’economia e del sistema finanziario cinese, su cui si riaccendono le luci internazionali dopo che il colosso immobiliare Evergrande ha dichiarato bancarotta presso una corte di New York.

Evergrande ha presentato istanza di protezione dal fallimento secondo il capitolo 15, che consente a un tribunale fallimentare statunitense di garantire il riconoscimento a un procedimento di insolvenza o di ristrutturazione del debito che coinvolge Paesi stranieri.

Si tratta solo dell’ultimo tassello nelle crisi cinesi.

C’è ora preoccupazione per vedere in che misura i mercati – che in questi giorni agostani hanno tenuto il radar puntato sulle difficoltà di Pechino – reagiranno negativamente agli ultimi sviluppi.

Nelle scorse settimane in Cina si è parlato molto – fino ad arrivare a manifestazioni di protesta da parte degli investitori – dei mancati rimborsi di cedole da parte del gruppo Zhongzhi Enterprise Group, in particolare del suo ramo di wealth management che raccoglie i patrimoni delle persone facoltose (137 miliardi di dollari in portafoglio) e li investe, anche nel campo del real estate: da qui le difficoltà e l’incapacità di soddisfare i creditori.

Un passaggio non indifferente, perché rappresentativo del “contagio” dall’economia reale al settore bancario: in particolare per un sistema che ha molte “ombre” al suo interno.

A sua volta, anche il gruppo Country Garden lunedì scorso non è stato in grado di rimborsare due rate di interessi su prestiti e rischia formalmente il default se a settembre non pagherà.

Questi casi arrivano dopo una raffica di dati negativi sull’andamento economico di Pechino, sempre più lontana dal raggiungimento di un obiettivo di crescita del 5% indicato dal presidente Xi.

I numeri sulla produzione industriale, l’export, la disoccupazione e da ultimo anche i prezzi delle case in calo (per la prima volta nel 2023, per altro -secondo la Bloomberg- in misura ben maggiore rispetto a quel che raccontano le statistiche ufficiali) hanno acceso diversi allarmi.

In settimana è risultata illuminante sulla situazione cinese anche un’intervista rilasciata a Libero da Alberto Forchielli, il quale ha spiegato che “La crisi è abbastanza strutturale. Il settore immobiliare è abbastanza speculativo e si è costruito troppo: si sono costruite case fino al 2050. Ormai la Cina è sovra investita. (…) Adesso bisognerebbe dare i soldi in mano alla gente, perché possa consumare. Però questo non avviene perché per spostare un modello di sviluppo da intensive investment a intensive consumer sarebbe necessarie enormi riforme che il Paese non intende fare. E poi la gente non si fida più di Xi, per cui le imprese non producono più come prima e i consumatori non consumano più. C’è una crisi di confidence del regime, che è meno solido di quanto appaia. (…) Il punto è che Xi ha rotto le scatole. Il modello era: fate quello che vi pare, lavorate, consumate, risparmiate, basta che non vi impegnate in politica. Xi ha rotto quel patto: ha cominciato a dire ai cinesi che devono andare in guerra, che non devono andare più sui social network, che devono stare a casa quando non c’è bisogno di stare a casa, che non possono viaggiare perché non gli dà il passaporto. Ha rotto le scatole anche alle imprese dicendo che devono avere il Comitato del partito dentro all’azienda”.

Il libro della settimana (perché noi i libri li leggiamo, Ministro)

 Prima l'Europa. È l'Italia che lo chiede, di Sergio Fabbrini.

Sergio Fabbrini delinea, attraverso una selezione di editoriali comparsi sul Sole 24 Ore tra il marzo 2019 e l'agosto 2020, i nuovi assetti e la forma organizzata assunti dall'Europa integrata in un anno di importanti cambiamenti del contesto italiano ed europeo, a loro volta accelerati dalla pandemia.

Attraverso il racconto cronologico l'autore illustra così il funzionamento di un'organizzazione cruciale per lo sviluppo economico e la stabilità democratica del nostro continente, eppure poco conosciuta per la sua complessità istituzionale e funzionale.

Come è possibile che l'Unione europea sia così poco conosciuta? Come spiegare ciò che avviene in Europa in modo da aumentare la consapevolezza pubblica sulle scelte fatte o da fare? Fabbrini si sofferma, in particolare, sull'importanza delle interdipendenze tra i Paesi che costituiscono l'Ue, sul suo sistema decisionale, sulle implicazioni delle politiche pubbliche dell'Unione. Dopo tutto, ricordava Luigi Einaudi, occorre conoscere per decidere.

Invito all'azione

Liberali Democratici Europei



 

 

 

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